di Anna Cadoni

Alla fine dello scorso anno è stato dato alle stampe il Libricino: Educazione alla salute e all’affettività, risultato di un esperimento di divulgazione e informazione in tre licei e istituti superiori nella città di Salerno, da parte del collettivo di genere Lisistrata. Si sono definitə “una beffa del passato, una parodia che diventa attivismo e impegno politico”, natə nel 2018 insieme al circolo Arci Marea dalla volontà di creare uno spazio collettivo di riappropriazione di una narrazione inclusiva, intersezionale e di sorellanza. Per questo motivo, quando ho saputo che nel corso del 2020 Lisistrata ha dato vita a una serie di incontri e lezioni formative riguardanti -tra le tante tematiche affrontate- questioni come la sessualità, l’affettività, la salute emotiva, rivolte alle generazioni di giovannissimə nelle scuole superiori, ho deciso di raccontare la loro esperienza attraverso le loro voci.

La prima potrebbe sembrare una domanda scontata, ma a volte dobbiamo tornare alle cose ovvie per capire dove stanno i problemi: come è nato il Libricino? Perché la formazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole e da dove è partita l’idea di informare lə ragazzə giovanissimə?
Se non ci avessi posto questa domanda ti saresti persa la parte più bella della storia. Storia che si può dire sia iniziata con la fondazione stessa del collettivo. Fin dall’inizio, infatti, Lisistrata si è posta l’autoformazione e la divulgazione come princìpi alla base della sua pratica. Tutto ciò si è concretizzato in una serie di incontri tenuti da tre di noi -una ginecologa, una psicologa e una mediatrice culturale – che nel 2020 hanno incontrato diverse classi di tre licei e istituti superiori di Salerno. Dopo questo primo approccio in presenza, abbiamo vinto un bando per realizzare un webinar e, successivamente, deciso di riassumere i punti salienti del nostro corso e autoprodurre questo libricino. Va detto, però, che le prime a soffiare sul fuoco sono state due studentesse dell’ultimo anno del liceo Torquato Tasso di Salerno, Eleonora e Valeria, che ci hanno proposto di portare le tematiche care al collettivo tra i banchi di scuola. Grazie alla perseveranza di queste due studentesse e poi – con il passaparola – grazie alla tenacia di altre, il corso di educazione all’affettività e alla sessualità ha raggiunto molti studenti e raccolto spunti per continuare. Essere statə chiamatə all’azione è stato davvero importante e significativo per noi ed è per questo che abbiamo chiesto loro di rispondere alla domanda che segue.
È di una decina di giorni fa la notizia del liceo Giulio Cesare di Roma, che ha visto le studentesse e gli studenti impossibilitatə a svolgere degli incontri che prevedevano tematiche quali il diritto all’aborto, le questioni di genere, ecc. Tutt’oggi l’educazione sessuale e di genere non è obbligatoria nelle scuole italiane. Quale è stata la vostra esperienza, in quanto nuove generazioni che continuano a crescere in questi ambienti che negano l’informazione di questo tipo?
Il corso di educazione all’affettività e alla sessualità, nonostante l’iniziale imbarazzo, dovuto ai tabù legati a queste tematiche, ha coinvolto attivamente ragazzə di tutti gli anni. La partecipazione è stata sicuramente favorita dall’ utilizzo di giochi di ruolo. Questi ci hanno permesso di immedesimarci in alcune delle problematiche causate dalle differenze di genere e quindi di capire come porci in modo rispettoso in una qualsiasi relazione interpersonale. La presenza di espertə del settore ci ha permesso di affrontare argomenti come la contraccezione e le MTS (malattie trasmesse sessualmente) in modo consapevole ed esaustivo. Nonostante la nostra generazione sia sempre più aperta a trattare questi argomenti, le istituzioni e l’opinione pubblica continuano a ostacolare la nostra formazione. Questo causa non solo un’ignoranza diffusa, ma genera in una generazione più consapevole delle precedenti una difficoltà nel parlare liberamente di sessualità fuori dalla propria zona di comfort.
Tra i ricordi più vividi della mia esperienza da liceale (parliamo di circa dieci anni fa) c’è sicuramente l’onnipresenza del sesso come obbligo sociale e a beneficio della parte maschile della classe; quindi da un lato una sovraesposizione all’argomento, dall’altro una censura delle tematiche come il piacere femminile, il consenso, la diversità, ecc. Come è cambiato, secondo voi, l’approccio a questi argomenti da parte delle persone giovanissime?

Direi che, pur essendo passati dieci anni dalla tua esperienza, la situazione non è cambiata in modo radicale. L’educazione sessuale nelle scuole italiane, impostata in questo modo, sembra una normale conseguenza dei retaggi patriarcali, del radicalismo religioso e di una sorta di sessuofobia abbinata ad un concetto di pudicizia forse un po’ distorto. Se ben poco è cambiato nelle istituzioni, ben diverso è l’approccio dellə giovani: tematiche come il piacere femminile e la diversità non sono più un grande tabù, anzi i ragazzi e le ragazze sono sempre più interessatə all’argomento e lo affrontano anche con una sana curiosità. Sono tuttə molto interessatə, e iniziano a porre domande che magari i giovani delle precedenti generazioni non osavano porre: trovo che il confronto, sia tra coetaneə che con persone più adulte, è affrontato in modo sempre meno goliardico e via via più consapevole. La strada da fare è ancora tanta, ma sicuramente la direzione è quella giusta.
Il capitolo sull’aborto è molto esaustivo e preciso; come hanno risposto agli incontri informativi le persone direttamente interessate (se avete avuto a che fare con persone che avessero fatto l’esperienza della gravidanza)? Il problema degli obiettori di coscienza in Italia è ormai insostenibile e raggiunge punte elevatissime in alcune regioni, nelle quali è diventato praticamente impossibile praticare un aborto libero e sicuro; come vi sentite a riguardo e come pensate che reagiscano le nuove generazioni a queste situazioni che ci riportano indietro a 50 anni fa?
Durante quest’esperienza non ci è capitato di raccogliere l’esperienza di studentə che stavano attraversando una gravidanza o che avevano intenzione di abortire ma nella mia esperienza di ginecoccola ho avuto modo di incontrarne diverse. Spesso capita che si confidino con le professoresse più vicine a loro e poi arrivino a me. Nel caso in cui non ci sia intesa tra la donna minorenne e i genitori oppure la donna, sempre minorenne, non vuole farlo sapere alla sua famiglia, può adire in consultorio familiare, con relazione dell’equipe socio psicopedagogico, al giudice tutelare che entro 5 giorni deve emettere una sentenza. Capita che nove volte su dieci il giudice dà l’ok ma ultimamente un giudice ha negato a una carcerata il diritto di abortire. Abbiamo affrontato la questione dell’aborto nelle classi incontrate e queste si sono dimostrate interessate alla salute riproduttiva. Chi talvolta ha storto il naso, facendosi la croce e battendosi il petto, sono stati i docenti, eppure bisogna capire che l’aborto è parte della vita, come lo sono la morte e la malattia. Senz’altro in questo gioca un ruolo importante l’ideologia cattolica che continua a persistere, come si vede, appunto, anche dalla presenza degli obiettori che spingono le donne ad emigrare per interrompere la gravidanza. Questi viaggi avvengono anche quando si superano le 22 settimane più 3 giorni per le donne che vogliono fare un aborto terapeutico dopo aver scoperto una malformazione fetale. La situazione ad oggi è terribile, in particolare in Umbria, nelle Marche e nelle regioni governate dalla Lega. Mentre il Lazio, ad esempio, ha recepito le linee d’indirizzo per l’aborto medico, altre regioni si chiudono. La 194 è una legge molto vilipesa e ci si dimentica che il corpo è della donna.
Il concetto di intersezionalità sta alla base di come intendiamo il femminismo di oggi: non c’è femminismo senza inclusione di tutte le differenze/minoranze. Come avete affrontato questo tema così importante che è spesso difficile da comprendere anche negli ambienti che si considerano impegnati nella lotta alla discriminazione?
Purtroppo è vero: anche tra chi combatte le discriminazioni, c’è il rischio di inquadrare i privilegi e le vulnerabilità in modo errato. Da un lato, è importante sottolineare che le diseguaglianze inerenti il genere e la sessualità sono parte di uno schema ben più ampio di asimmetrie di potere che includono il grado di abilismo fisico e/o psicologico, di benessere socio-economico, oltre che le caratteristiche legate all’etnia, all’età, e così via. Dobbiamo sempre ricordarci che la struttura sociale è stata pensata da e per uomini, bianchi, cisgender, abili, in ottime condizioni socio-economiche e in contesti politicamente stabili e geograficamente privilegiati. Chi è altrə da tutto ciò, anziché il potere ha la – o le – vulnerabilità. Quando più vulnerabilità si accumulano, il risultato supera la somma degli elementi ed è lì che si crea una combinazione interdipendente di svantaggi. Se la lotta femminista si concentra solo sull’elemento legato al genere, diventando esclusivo ed escludente, lascia il lavoro incompleto. Si rischia di proteggere i diritti di alcune donne e, poi, ripensare da capo la stessa battaglia per portare a quel livello la restante parte della rappresentanza femminile. Questo è illogico: i diritti appartengono agli esseri umani e possono essere conquistati solo tuttə insieme.
Nel ringraziarvi per il vostro aiuto vi chiedo un’ultima considerazione di quello che ha significato per voi pubblicare questo libro in questo periodo di distanziamento fisico, che ci impone inevitabilmente di cambiare le nostre abitudini e il nostro rapporto con l’affettività, la sessualità, con i corpi nostri e con quelli delle altre persone.
Entrare in contatto con il proprio corpo e con la propria emotività può costituire, per molte persone, un aspetto non semplice da realizzare. Spesso quando si parla di sessualità, in particolar modo nelle scuole, si ha sempre l’impressione di varcare un confine scomodo. In effetti la mancanza di una materia che affronti in maniera esplicita l’educazione all’affettività e alla sessualità è indice di un forte e persistente tabù culturale (inteso in senso antropologico). Il distanziamento fisico e sociale, imposto dall’emergenza sanitaria legata al diffondersi del covid-19, ha certamente posto l’attenzione sull’importanza della condivisione di uno spazio fisico, inteso come un luogo che può agevolare gli scambi emozionali tra le persone. La comunicazione virtuale, che avviene attraverso i diversi strumenti tecnologici, richiede certamente una modifica di alcuni codici linguistici, corporei e, in senso più ampio, comunicativi. Osservare gli effetti a lungo termine di questa forma di comunicazione potrebbe costituire un fenomeno di importanza crescente. Per quanto riguarda l’esperienza del Collettivo Lisistrata all’interno delle scuole salernitane, può essere considerata come un’interessante opportunità per costruire un percorso di crescita, di formazione e di dialogo che abbraccia un bisogno sempre più condiviso. L’impegno di tuttə nel dare sempre più importanza al rapporto con il proprio corpo e all’insegnamento dell’educazione affettiva e sessuale, in particolar modo all’interno delle scuole, costituisce un aspetto non scontato e che richiede un’attenzione sempre più ampia e necessariamente condivisa.
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